martedì 10 aprile 2007

Labyrinth - 6 days to nowhere

Vaporizzato qualsiasi riferimento al power casereccio, che ancora faceva capolino qua e là nel precedente Freeman, i Labyrinth si riaffacciano sul mefistofelico mercato musicale con un disco di semplice, genuino rock metallizzato, perfetta sintesi dell’evoluzione intrapresa con l’omonimo album del dopo Olaf Thorsen, e continuata poi nel recente e già citato Freeman.
La canzoni sono ora figlie dirette di una linearità strutturale che cerca il ritornello accattivante (There is a way, What, Rusty nail), risultando comunque convincenti grazie a un drumming sempre fantasioso di Mattia Stancioiu, e a un ricamo tastierstico di De Paoli marginale ma assai prezioso – nonostante si senta la mancanza delle originali scorribande sui tasti d’avorio dei precedenti platter.
Tuttavia, il songwriting si permette di abbracciare una certa filosofia progheggiante, sempre presente nella band italiana, che sa spezzare le canzoni e inserire così tenui passaggi arpeggiati e delicate melodie (Crossroads, Mother Earth), oppure improvvise fughe in doppia cassa (Just one day), che richiamano un’impronta musicale a questo punto scomparsa.
Ma nonostante uno sviluppo artistico ormai maturo, i Labyrinth si concedono una sperimentazione vagamente estrema (la meravigliosa Lost – gioiello del disco – e per certi versi la non del tutto riuscita Wolves’n’lambs) che fa suo il death scandinavo, con tanto di blast beats, riff thrashy, serrati e dall’attinenza melodica, e timidi growl che spuntano durante il bridge.
Curiosa la cover di Come Togheter, ben realizzata e che sfrutta un suntuoso crescendo rockeggiante, ma appare un po’ fuori posto dalla linea stilistica scelta per l’intero ellepi. Viceversa, Piece of time, rivisitazione vitaminizzata del classico appartenente all’era No limits, si dimostra veloce ed efficace, solare e canticchiabile.
Niente da dire sulla prestazione vocale di Roberto Tiranti (che si cimenta anche con il basso, con risultati che difficilmente si possono valutare, a causa di una produzione – comunque ottimale – che lo nasconde totalmente), ugola caldissima posta come baluardo della formazione italiana.
È necessario però sottolineare un’eccessiva lunghezza (quasi un’ora), riscontrando nelle quattordici canzoni presenti un malessere frutto di una certa ripetitività e di poco mordente, soprattutto man mano che ci si avvicina alla conclusione (Coldness, Out of control, l’insipida ballad Smoke and dreams), colpa anche di un guitar work che, nei pezzi segnalati e in qualche altra occasione, si fa fin troppo derivativo e scontato.
Sicuramente, con qualche brano in meno e un pizzico di maggiore incisività, 6 days to nowhere avrebbe potuto forgiarsi del titolo di capolavoro, o qualcosa di simile. Per adesso, è una meritevole conferma della classe e dell’onesta musicale del combo italiano.

V2 Music
2007

1. Crossroads (4:03)
2. There is a way (3:36)
3. Lost (4:24)
4. Mother Earth (6:08)
5. Waiting tomorrow (3:35)
6. Come togheter (4:00)
7. Just one day (3:54)
8. What (4:15)
9. Coldness (3:49)
10. Rusty nail (3:19)
11. Out of control (3:46)
12. Wolves’n’lambs (4:53)
13. Smoke and dreams (4:37)
14. Piece of time (2:50)

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